Uno degli errori in cui più spesso si incorre, allorché si è chiamati ad esprimere un giudizio critico su un’artista, consiste nel fare comparazioni per sottolinearne la grandezza. Occorrerebbe conoscere più da vicino Antonio De Paoli per tentare di scoprire la sua più vera autentica personalità. L’artista infatti porta a piena realizzazione il suo processo creativo pro-rio nel ciclo delle opere qui esposte.
La sua carica di umanità è solcata in queste terre refrattarie come una forza liberatrice e spinge inevitabilmente i suoi soggetti verso la dissoluzione fisica.
Le sue “metamorfosi” sono una presenza netta, anche se tipica in ogni opera d’arte, come la vita biologica che sta al mutamento incessante della realtà oggettiva, intensa espressione di un innegabile dinamismo interiore.
I sentimenti che Antonio De Paoli esprime si possono cogliere nella sua poliedrica attività che spazia dalla pittura alla scenografia, fino alla scultura. Ma è proprio nel modellato che a mio giudizio si scopre la massima esaltazione della sua creatività e della sua tecnica.
Egli cioè concepisce la sua trama artistica nell’infinito, imprimendo con immediatezza e forza i segni della modellazione senza alcun pentimento o esitazione.
Tali segni estrosi, decisamente nervosi dei polpastrelli, rivelano una tale sicurezza nella manipolazione della terra duttile da provocare sgomento nell’osservatore assiduo.
La tematica viene semplificata conferendo alle composizioni un aspetto vagamente simbolista.
In talune parti il modellato appare appena accennato, e questa è una particolarità che induce l’osservatore ad interloquire con esso, vuole coinvolgerlo in armoniose stilizzazioni lasciando il posto a meditazioni piuttosto profonde
Una personalità riflessiva, quasi introversa, umile, disposta più ad ascoltare che a parlare, è uno spirito tormentato alla ricerca di qualcosa che sembra non trovare mai. Un divenire che si rivela in queste sue creature corrose dal fuoco, un fuoco soprattutto interiore che si ali-menta giorno per giorno con gli stati d’animo fatti di pensieri, di originari sensi, di straordinari e corrosive visioni.
“Abbozzare con fuoco ed eseguire con flemma” teorizzava Winckelmann ai suoi allievi. Se si potesse osservare l’artista mentre lavora, si riuscirebbe forse a spiegare il tormento del suo modellato carico di umanità, egli da forza all’invisibile, al non esprimibile nel senso enunciato da Paul Klee: “il ruolo dell’arte non quello di riprodurre il visibile. E’ quello di renderlo visibile”.
Le mani, plasmano la materia per raggiungere un unico stato d’animo, sintesi di tutti i precedenti. Così il lavoro di De Paoli è indissolubile dall’artista: l’affermazione della sua umanità e si concretizza nella conseguente libertà di espressione. Una libertà ispirata soprattutto dalla prodigiosa genialità contenuta nel repertorio dell’arte canoviana, i bozzetti quella radice sfuggente al grande pubblico: De Paoli come Antonio Canova, si serve dei bozzetti perchè li considera la prima vera idea dell’opera, legata al concepimento estemporaneo.
Poi si compie il passaggio dal bozzetto alla realizzazione in scala a grandezza naturale che si esprime in molte realizzazioni di Antonio De Paoli; come risulta chiaro in opere di committenza ecclesiale comprendenti: statue, lunette e portali di chiese.
Nelle terrecotte che oggi si ammirano, collocate in questo splendido contesto medioevale, si integrano perfezione ed elementi che consentono all’artista di evocare, come in una anamnesi, il mondo esistenziale. Queste terrecotte riportano alla memoria un aspetto un po’ dimenticato dell’arte e cioè il momento della creazione, del concepimento. Si assiste attoniti al susseguirsi continuo di sapienti alternanze di pieni e di vuoti, in contrasti di masse chiaroscurali, dove domina la narrazione ma senza nessun tono retorico. Senza dubbio in queste opere si può cogliere l’indole riflessiva e, talvolta, impetuosa come risulta dagli improvvisi solchi della miretta che si alternano all’impalpabile, levigato candore delle carni: “Perché sempre gli uomini sono stati composti di carne flessibile e non di bronzo”
Per De Paoli le regole non devono costituire mai una barriera rigida che imprigiona l’artista, ma possono e devono essere utilizzate per sgombrare pregiudizi e condizionamenti.
Le scelte coraggiose dell’artista si fondono sulla capacità e sulla determinazione di rifiutare la visione di un mondo preconfezionato. Il nostro sistema visivo è particolarmente attratto dalle forme e dal dinamismo che esse creano; l’alternanza dei pieni e dei vuoti generano, per-tanto, la percezione del movimento illusorio, introducono al suo dinamismo. De Paoli dimostra dunque in queste sue “creature” il legame inscindibile con le teorie Wanburghiane, interpretato attraverso un articolato e colto percorso iconografico, che ci aiuta a comprendere il suo pensiero più che la realtà oggettiva.
Antonio Falbo
Romano di Lombardia 14-XI-07